Adozione: verso il bene di bambini

 

A cura di Dante Balbo

 


L’adozione sta cambiando in Svizzera. C’è infatti una notizia molto rallegrante. Il  Consiglio nazionale ha dato luce verde all’approvazione della convenzione dell’Aja, dopo che l’aveva già fatto il Consiglio degli Stati, alcuni mesi prima. La parola a Reto Medici.

 

“La convenzione dell’Aja è una convenzione internazionale del 1993 alla quale hanno aderito già moltissimi, oltre 30 Stati e perciò sarà una delle convenzioni con un maggior successo, dopo, per esempio, quella per i diritti dei bambini. Ci sarà una collaborazione stretta tra il Paese d’origine dei genitori e il Paese d’origine del bambino.

Ciò significa che, per esempio, in Svizzera, si farà il lavoro di preparazione e di indagine con i genitori che riceveranno, appunto, l’attestato di idoneità e nel Paese di origine, invece, del bambino, si chiarirà l’adottabilità del minore.

Oggi, praticamente, nel Paese di origine del bambino, viene allestita una veloce indagine sociale, sui genitori, nel periodo della loro permanenza, quando vanno a prendere il minore.

Con la Convenzione, invece, vi sarà un riconoscimento reciproco tra i due paesi, per cui questo passo non sarà più necessario.

Inoltre, reciprocamente, l’adozione dichiarata nel paese di origine del bambino verrà riconosciuta automaticamente anche da noi in Svizzera, per cui si eviterà il periodo di affidamento preadottivo che poneva il bambino in una situazione giuridicamente precaria nei primi due anni di permanenza nel nostro paese.

Tutto questo naturalmente vale per quei paesi che hanno aderito alla Convenzione dell’Aja.”

 

Quali garanzie ha il Cantone che tutto sia regolare?

“La Convenzione stabilisce alcuni criteri di verifica, in particolare costituendo in ogni paese firmatario una organizzazione centralizzata che raccoglie i dossier dei bambini e delle famiglie e stabilisce gli abbinamenti.

Ma al di là di questo è importante ancora una volta il rapporto di fiducia che si stabilisce con gli intermediari riconosciuti per un certo paese.

Prendiamo per esempio la Romania, un paese che una decina di anni fa è stato protagonista di una serie di abusi clamorosi in materia di adozioni.

Proprio questa situazione incresciosa ha fatto sì che le autorità si mobilitassero e che la Romania divenisse un paese che dal punto di vista legislativo si è dato degli strumenti perfettamente in linea con la convenzione dell’Aja, anzi, ha chiesto alle organizzazioni che si occupavano di adozione di dimostrare il loro impegno concreto a favore dell’infanzia, legando l’adozione ad un progetto più globale di protezione del bambino.

L’associazione Nuova Speranza, intermediario riconosciuto legalmente in Ticino, si colloca in questa ottica, con una serie di progetti complementari tra i quali si colloca anche l’adozione internazionale.

Un elemento fondamentale per il riconoscimento di questo intermediario, tuttavia, resta la fiducia, l’affidabilità dei componenti dell’associazione stessa.

Non vorrei essere frainteso, nell’accentuare la dimensione della fiducia, ne sottolineo solo l’importanza, senza dimenticare che anche qui abbiamo strumenti legali di verifica dell’operato degli intermediari, come Caritas Ticino sa bene.

L’ordinanza federale sulle adozioni, infatti, prevede che ogni intermediario consegni, alla fine di ogni anno, un rapporto dell’attività che ha svolto e, crediamo, che i due enti la Caritas Ticino e l’Associazione Nuova Speranza, lavorino nel senso di aiutare l’infanzia abbandonata, in funzione dell’adozione, non in funzione di altri interessi che sono da condannare.”

 

Famiglie in cerca di bambini o bambini in cerca di famiglia?

“Quando le famiglie arrivano da noi, hanno delle idee abbastanza precise e spesso il lavoro da fare è quello di renderle attente alla complessità del processo adottivo.

In questo consiste l’indagine sociale, che non è solo un rilevamento di dati o una verifica di capacità, ma l’approfondimento di quegli aspetti che spesso le famiglie, soprattutto all’inizio, non avevano preso in considerazione.

Al termine di questo percorso, si arriva a definire un paese dal quale accogliere un bambino e per il quale ottenere l’autorizzazione cantonale.

La limitazione ad un paese ha due finalità: non intasare i tribunali dei paesi d’origine dei bambini e gli intermediari con pratiche complesse, ma soprattutto aiutare la famiglia a elaborare un’accoglienza motivata e orientata, perché non è lo stesso adottare un bambino asiatico o europeo.

Questo dalla parte dei genitori, ma anch’io e le mie collaboratrici siamo d’accordo nel favorire al massimo la possibilità di cercare una famiglia per dei bambini, quando ci vengono segnalati. Abbiamo a questo proposito una buona esperienza da un intermediario che si occupa di bambini provenienti dal Portogallo e attualmente anche l’associazione Nuova Speranza ci segnala spesso bambini dalla Romania.

In questo caso, compito del servizio Adozioni è trovare le famiglie e proporre loro un cambiamento di percorso, cosa non sempre evidente, ma possibile.

Dal punto di vista dell’autorizzazione non esistono particolari problemi a modificarla, una volta che si sia accertata la possibilità reale di adottare un bambino segnalato da un paese diverso da quello previsto inizialmente dalla famiglia.”

 

Proposte coraggiose in una cultura ancora molto da costruire

Lo scopertine/copo è, conclude Reto Medici, “la tutela dei diritti del bambino, come chiaramente affermato dalla convenzione dei  che stabilisce che l’adozione é un provvedimento sussidiario alle misure attuate per garantire la permanenza dei bambini nel loro paese di origine.

Un esempio che spinge questo discorso a conseguenze singolari è la proposta apparsa sui giornali italiani nell’ottobre 2000 in cui si ventilava la possibilità di realizzare una forma di affido a lunga scadenza, una specie di adozione, senza la perdita del legame parentale con i genitori biologici, per i 15.000 bambini che in Italia sono permanentemente tenuti in un istituto.

Di per sé non è un problema che ci riguardi direttamente, nel senso che in Ticino non vi sono orfanotrofi, ma se si andasse in questa direzione, l’Italia è un paese vicino e potremmo essere coinvolti come possibili genitori “semiadottivi”.

Purtroppo sono ancora molti i passi da fare per far sì che la cultura della protezione dell’infanzia si concili con il legittimo desiderio delle famiglie di completarsi accogliendo un bambino.

La convenzione dell’Aja, sicuramente, rendendo più trasparenti e snelle le pratiche per l’adozione è un buon tassello in questa direzione.”